giovedì 28 ottobre 2010

L'UE apre la porta alla Serbia. O solo la socchiude ?

Forse c'e' stato un po' troppo ottimismo nella stampa italiana in questi giorni circa le aperture UE alla Serbia. Di fatto, nonostante il passo indietro di Belgrado sull'indipendenza del Kosovo, i ministri degli esteri hanno si' sbloccato d'iter della domanda di adesione che ora potra' passare alla Commissione europea (e indicato nel 2016 la possibile data), ma i successivi negoziati rimangono comunque condizionati dalla cattura di Mladic, cosi' come dimostrato dalla conferma della posizione olandese, il cui governo reputa pregiudiziale questa cattura e la consegna al Tribunale dell'Aia.

Di fatto, si potrebbe parlare di un continuato irrigidimento (l'apertura in questione appare debole e la Commissione continua ad avere le mani legate), proprio mentre in Serbia appare elevato il desiderio di entrare nell'UE. Ma non nella NATO, in ricordo degli ancor freschi bombardamenti del 1999. Non si vorra' forse punire questa pregiudiziale serba ?

lunedì 18 ottobre 2010

La Belorussia alla ricerca di petrolio "diversificato"

La Belorussia cerca di sganciarsi dalla dipendenza delle forniture di petrolio russo; in estate il Venezuela ha promesso a Lukasenko di garantire la sufficienza energetica qualora ci fossero anche quest'inverno difficoltà di approvvigionamento dovute ai ritardi dei pagamenti a Mosca. Grazie all'intesa Lukasenko-Chavez, i flussi di greggio venezuelano arrivare nel paese sia attraverso il porto di Odessa che attravreo il terminale baltico di Klaipedos; entrambi i paesi, Ucraina e Lituania, hanno da poco siglato accordi in tal senso con la Belorussia.

martedì 12 ottobre 2010

Nulla di nuovo in Bosnia

Ancora una volta c'è stata sorpresa per l'esito delle elezioni in Bosnia Erzegovina, interamente a favore dei nazionalisti. Come se ci si potesse attendere un'altro risultato... ma la definizione del sistema-stato raggiunta a Dayton nel 1996 non può dare soluzioni diverse; si è voluto infatti costituire un doppio layer di comunità etniche sulle quali appoggiare i basamaneti dello stato bosniaco-erzegovino, dando ascolto alle rivendicazioni e alle politiche delle tre principali etnie presenti sul territorio. Di conseguenza, si è favorito in questi anni lo svilupparsi di un sistema statico che ha privilegiato il rafforzamento dei partiti etnici territoriali a discapito di un reale sviluppo sociale e democratico. In quest'ottica, soprattutto in Republika srpska ci si è comportati come in uno stato indipendente, favoriti dalla monoetnicità, una volta allontanate le altre etnie (croati e mussulmani) negli anni '90.
In Occidente si è anche sottovalutata una delle norme della politica (o peggio, la si è ignorata), cioè che il controllo del territorio è potere (e viceversa). E' quindi naturale che sia forte la resistenza alla richiesta di riforme richieste dalla comunità internazionale, riforme volte a un "naturale" riequilibrio dei poteri a favore dei poteri istituzionali centrali di Sarajevo. Naturale da un punto di vista della logica politica di un paese "normalizzato" ma assolutamente contro gli attuali poteri forti locali.
Il voto d'inizio ottobre inoltre rispecchia lo scetticismo della popolazione, la sfiducia per certe proclami e promesse ripetuti in questi anni ma che non riflettono la realtà (spesso problematica) del quotidiano. Superata ormai l'idea di un paese comune e riunificato, ancora sostenuta da una minoranza di politici e persone riconducibili ad ambienti bosniaci riformisti di tipo occidentale ma con scarso appiglio sull'opinione pubblica, la gente è stufa, per lo più non vota o fa riferimento alle strutture politiche etniche. E latita persino la fiducia nei confronti dell'Europa.