Ancora una volta c'è stata sorpresa per l'esito delle elezioni in Bosnia Erzegovina, interamente a favore dei nazionalisti. Come se ci si potesse attendere un'altro risultato... ma la definizione del sistema-stato raggiunta a Dayton nel 1996 non può dare soluzioni diverse; si è voluto infatti costituire un doppio layer di comunità etniche sulle quali appoggiare i basamaneti dello stato bosniaco-erzegovino, dando ascolto alle rivendicazioni e alle politiche delle tre principali etnie presenti sul territorio. Di conseguenza, si è favorito in questi anni lo svilupparsi di un sistema statico che ha privilegiato il rafforzamento dei partiti etnici territoriali a discapito di un reale sviluppo sociale e democratico. In quest'ottica, soprattutto in Republika srpska ci si è comportati come in uno stato indipendente, favoriti dalla monoetnicità, una volta allontanate le altre etnie (croati e mussulmani) negli anni '90.
In Occidente si è anche sottovalutata una delle norme della politica (o peggio, la si è ignorata), cioè che il controllo del territorio è potere (e viceversa). E' quindi naturale che sia forte la resistenza alla richiesta di riforme richieste dalla comunità internazionale, riforme volte a un "naturale" riequilibrio dei poteri a favore dei poteri istituzionali centrali di Sarajevo. Naturale da un punto di vista della logica politica di un paese "normalizzato" ma assolutamente contro gli attuali poteri forti locali.
Il voto d'inizio ottobre inoltre rispecchia lo scetticismo della popolazione, la sfiducia per certe proclami e promesse ripetuti in questi anni ma che non riflettono la realtà (spesso problematica) del quotidiano. Superata ormai l'idea di un paese comune e riunificato, ancora sostenuta da una minoranza di politici e persone riconducibili ad ambienti bosniaci riformisti di tipo occidentale ma con scarso appiglio sull'opinione pubblica, la gente è stufa, per lo più non vota o fa riferimento alle strutture politiche etniche. E latita persino la fiducia nei confronti dell'Europa.
In Occidente si è anche sottovalutata una delle norme della politica (o peggio, la si è ignorata), cioè che il controllo del territorio è potere (e viceversa). E' quindi naturale che sia forte la resistenza alla richiesta di riforme richieste dalla comunità internazionale, riforme volte a un "naturale" riequilibrio dei poteri a favore dei poteri istituzionali centrali di Sarajevo. Naturale da un punto di vista della logica politica di un paese "normalizzato" ma assolutamente contro gli attuali poteri forti locali.
Il voto d'inizio ottobre inoltre rispecchia lo scetticismo della popolazione, la sfiducia per certe proclami e promesse ripetuti in questi anni ma che non riflettono la realtà (spesso problematica) del quotidiano. Superata ormai l'idea di un paese comune e riunificato, ancora sostenuta da una minoranza di politici e persone riconducibili ad ambienti bosniaci riformisti di tipo occidentale ma con scarso appiglio sull'opinione pubblica, la gente è stufa, per lo più non vota o fa riferimento alle strutture politiche etniche. E latita persino la fiducia nei confronti dell'Europa.
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